30 kmh, dal via al traguardo senza tappe intermedie

Come per i T Days – idea bellissima, ma rende vivibile il centro solo due giorni alla settimana in cui si crea una spaccatura tra le ali opposte di Bologna – abbassare il limite senza avere risolto il problema della tangenziale, avviato il tram, riordinate le corse dei bus, sistemata le Ferrovia suburbana e fatti i parcheggi scambiatori, rischia di far apparire come odiosa una sacrosanta misura salvavita e di scontentare non solo i contrari ma anche i favorevoli, come l’autore di questo testo

di Giampiero Moscato, giornalista


Odio essere d’accordo con un progetto quando le modalità della sua realizzazione mi mettono nell’imbarazzante situazione di dover contestare chi troverebbe il mio entusiastico favore se facesse prima i passi opportuni. È quanto mi accade pensando all’annuncio del sindaco Matteo Lepore e della sua giunta. 

Bologna dal 30 giugno 2023, nel nome della sacrosanta sicurezza («Troppi morti sulla strada, bisogna fare qualcosa»: io sottoscrivo) sarà una città ai 30 km all’ora in gran parte del suo territorio, per ora limitata ad alcune aree. Le eccezioni saranno poche e la velocità massima non supererà in nessuna strada i 50 all’ora. Tutto bene, non è in discussione che la misura sia doverosa e metta Bologna al passo con realtà evolute come Parigi e Berlino. Apprezzo totalmente quello che ha scritto Mery De Martino qui (“Fluidamente lenti. Dalla Città 30 al tram”).

Dov’è allora il problema? Che Bologna non è né Parigi né Berlino, non ha la rete dei trasporti urbani di queste due metropoli. Non ha la metro, non ha (ancora) il tram, ha una tangenziale che non regge. Raggiungere il traguardo partendo come missili dal via senza passare dalle tappe intermedie rischia non solo di fare apparire la mossa come demagogica, ma di farla diventare odiosa a troppa parte della popolazione senza risolvere i problemi. Già sono esplose caterve di critiche sui social, a partire dal fatto che a quelle velocità fioccheranno a migliaia le contravvenzioni per eccesso di velocità. Nelle aree a 30 all’ora io riesco, ma con molta fatica, a non farne 32,5. Vuole salvare vite umane ma rischia di passare come una misura per fare cassa.

Su queste stesse pagine, il 7 giugno 2020 scrissi un testo analogo, per logica, a quello di oggi (“Voglio un centro di pedonalità permanente”). Allora contro le modalità con cui un’idea vincente, quella della pedonalizzazione del cuore del centro cittadino, fu trasformata in quel pastrocchio, anche linguistico, che sono i T Days. Per due giorni Bologna sogna di essere Nizza, per la gioia di chi si può godere il centro con le proprie gambe. Ma resta città vecchia e inadeguata per le imprecazioni di chi deve andare da San Ruffillo a Santa Viola, con i mezzi che non passano per il centro e costringono a cambi di linea problematici, scomodi e diversi rispetto ai giorni feriali. Le pedonalizzazioni non sono un rinfresco del sabato e della domenica. Sono un provvedimento di civiltà che deve essere perenne e sostenuto da un trasporto pubblico all’altezza sette giorni su sette. Altrimenti è conquista un po’ farlocca, un tocco di cipria su una cute che soffre la decadenza degli anni.

In un capoluogo che dovrà affrontare i lavori per il Passante di mezzo (altra soluzione di compromesso che non risolverà del tutto la congestione del traffico nel nodo cruciale del trasporto italiano e attenuerà per cifre irrisorie il tasso di inquinamento), quelli del tram e le ristrutturazioni in corso su ponti di grande importanza, una mossa giusta, fondata sulla necessità sacrosanta di salvare le vite umane e aiutare la mobilità sostenibile, a due ruote o a due piedi, rischia di ottenere scarsi risultati e di creare ancora più problemi a un traffico che è tale non solo per le cattive abitudini della cittadinanza.

Se abiti a Minerbio e lavori a Lavino di mezzo hai voglia di muoverti a piedi o in bici, se non sei Fausto Coppi. E comunque lo fai a tuo rischio a pericolo. Per chi non abita in centro e vive e lavora a distanze accettabili l’alternativa al mezzo privato è per forza di cose un buon trasporto pubblico. La circolazione dalle aree metropolitane esterne è congegnata ancora in modo baricentrico. La circolarità è quasi impossibile. Tutto o quasi converge verso il centro e dal centro si dipana all’esterno. Chi può prende l’auto. Per sopravvivenza, nella maggior parte dei casi.

Serve la sistemazione dell’anello ferroviario (“La città ha una “Circle line”, ma solo sulla carta”), serve il tram, servono collegamenti circolari e periferici e parcheggi comodi ed economici vicini alle stazioni e alle fermate per fare dei 30 all’ora il simbolo di una città moderna e vivibile. Partire dal traguardo, annunciare che Bologna diventa come Parigi, senza aver fatto le fatiche dei parigini per renderla vivibile, è un’intenzione encomiabile che però troverà il plauso della cittadinanza quando sarà accompagnata da altre urgenti e coeve misure a sostegno di un progetto meraviglioso.

I T Days sono belli (per i fortunati, meno per gli anziani e per chi si deve spostare per lavoro) solo due giorni alla settimana. Troppo poco. Sono consapevole che qualcosa bisogna pur cominciare a farla per ridurre gli incidenti. Rischia di essere troppo poco. E il lavoro grosso lo deve fare il viaggiatore, non il capotreno, come capita invece nelle città avanzate e progressiste. Cambiare le cattive abitudini è più facile se se ne inducono di nuove più sane e convenienti.


6 pensieri riguardo “30 kmh, dal via al traguardo senza tappe intermedie

  1. Assolutamente realistico e concreto. Aggiungo che chi abita in centro è stato ulteriormente penalizzato, specie se da anziano cammina male o lentamente, dalla sciagurata soppressione della navetta C (piccolo bus elettrico e non inquinante) che in direzione stazione passava in via delle Moline e via Righi. Ora passa su via Indipendenza come tutti gli altri bus e chi cammina male o lentamente deve fare anche più di mezzo chilometri per andare a prenderla o scendere su via Irnerio e trovare altri mezzi. In questo modo il centro è pedonale ma solo per i pedoni in piena salute; per cammina male o lentamente è una prigione.

  2. Mah. Ho attraversato decine e città con i 30, alcune simili a Bologna, senza problemi. Vivo in zona 30. Credo che il problema sia tutto psicologico: non riusciamo ad accettare di andare piano. La velocità media del traffico nelle città italiane è già oggi molto inferiore ai 30: causa ciode, semafori, stop. Difficile raggiungere i 50 anche solo fra un semaforo e l’altro: dove però in troppi ci provano, ed è questo differenziale di velocità nel traffico, con queste accelerate nervose, come tutti gli studi sull’incidentalità riportano, il vero rischio per la sicurezza. I 30 all’ora creano l’effeto tapis-roulant che alla fine fluidifica il traffico più dell’effetto fisarmonica.
    Il resto, ripeto, è effetto psicologico dovuto a una certa cultura dell’automobile.

  3. Che dire, amico Moscato, sottoscrivo parola per parola io tuo (sempre pacato) ragionamento.

  4. Condivido la preoccupazione, annunci senza un piano concreto alle spalle sono controproducenti; i Tdays hanno gli aspetti negativi ricordati, l’obiettivo di avere una città 7 giorni con area pedonale richiede la modifica della rete dei trasporti pubblici ma a questo non si è mai lavorato e ci trasciniamo una scelta del tutto “provinciale” con il paradosso del trenino e del pullman a gasolio che manovrano e caricano in Piazza Maggiore zona pedonale, mentre a volte nella T sfrecciano moto al doppio dei 30km/h.
    Condivido l’dea della “città 30”, vorrei chiedere “ma come?”
    Ho letto che l’assesora Oriali pensa giustamente a una modifica delle strade a 30 km/h per ridisegnare la viabilità, la ciclabilità, la pedonalità relativa; idea condivisibile.
    Per fare tutto questo ci vuole una partecipazione attiva dei cittadini, non l’ascolto mala discussione reale e sostenuta da progetti realistici e modificabili.
    Così lanciata l’idea, si può lavorare per una città che cambia lentamente ma realmente.
    Inoltre, andare piano riduce il rumore e l’inquenamento, se elettrico anche la CO2

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