«Un delitto è una notizia». «Ma non mentre si indaga»

Profondo scambio di opinioni tra i vertici regionali dei giornalisti e il capo della Procura sui risvolti informativi attorno al presunto omicidio della ginecologa Isabella Linsalata, che nel 2021 sarebbe stata avvelenata e uccisa dal marito Giampaolo Amato, oculista, sospettato di avere assassinato anche la suocera. L’alto magistrato risponde pure alla lettera aperta di Cantiere Bologna che contestava il ritardo con cui si è saputo che un omicidio era stato compiuto in città

di Silvestro Ramunno, presidente Ordine dei Giornalisti Emilia-Romagna, e Matteo Naccari, presidente Associazione Stampa Emilia-Romagna. Di seguito la risposta di Giuseppe Amato, procuratore della Repubblica in Bologna


Cantiere Bologna ha ottenuto dalla Procura della Repubblica e dall’Ordine e dal sindacato regionale dei giornalisti il permesso di pubblicare lo scambio di opinioni, avvenuto per lettera, sul caso giudiziario e informativo attorno alla morte della ginecologa Isabella Linsalata, che nell’ottobre 2021 sarebbe stata uccisa per avvelenamento dal marito, l’oftalmologo e per anni medico della Virtus Giampaolo Amato. Il capo della Procura, Giuseppe Amato, rispondendo a Silvestro Ramunno e a Matteo Naccari, replica anche all’articolo, firmato dal direttore Giampiero Moscato (qui) con cui Cantiere Bologna si rivolgeva all’alto magistrato per segnalare il fatto che un femminicidio sia stato taciuto all’opinione pubblica per un anno e mezzo.

Cantiere ringrazia i tre protagonisti di questo proficuo dialogo, che avrà, come si leggerà in queste due lettere, come seguito un confronto pubblico. Noi restiamo convinti che una legge che limita a tal punto il diritto di essere informati su casi gravissimi, e reiterabili – come ha scritto il giudice per le indagini preliminari disponendo la custodia cautelare in carcere dell’oculista – sia sbagliata e pericolosa, e che impedire alla stampa di svolgere una sua funzione di controllo sui poteri costituzionali in fasi così delicate sia un forte limite alla democrazia.

Ecco la lettera di Silvestro Ramunno e Matteo Naccari

Gentile Procuratore Giuseppe Amato, le scriviamo in relazione alla vicenda del medico arrestato con l’accusa di aver ucciso la moglie e sospettato dello stesso reato per la suocera.

Ci sembra che la notizia della presenza di un presunto femminicida nella comunità bolognese sia di grande rilevanza per l’opinione pubblica, ma non è stata resa nota. Così come è di interesse pubblico conoscerne l’identità, ma è stato difficile accertarla.

Questo caso, anche se non unico, è emblematico delle problematicità della Riforma Cartabia per la stampa: pur nel rispetto della presunzione di innocenza, fondamento deontologico della professione, in un paese democratico è la libera stampa che liberamente sceglie cosa è rilevante e cosa lo è meno.

Non ci sfuggono gli eccessi che ci sono stati in alcuni casi, la necessità di contemperare tutti i diversi interessi e la necessaria riservatezza per un’azione inquirente efficace e non è nostra intenzione né nostro compito criticare organi dello Stato che meritano sostegno e rispetto per l’importante funzione che svolgono.

Ci muove un solo obiettivo: poter informare, in maniera completa e trasparente, l’opinione pubblica. Il diritto di cronaca non è dei giornalisti, è il diritto dei cittadini a essere correttamente informati. Vorremmo solo che tutti i colleghi siano messi in condizione di poterlo fare al meglio, in parità tra loro. Si eviterebbe anche il rischio che la cronaca giudiziaria, di grande rilevanza per l’opinione pubblica, venga fatta facendo ricorso a fonti per lo meno dubbie, nell’impossibilità di avere informazioni da fonti qualificate.

Nel ribadire la nostra disponibilità a un incontro, qualora lo ritenesse utile, e alla partecipazione a ogni eventuale confronto pubblico, anche alla presenza dei colleghi della nera e giudiziaria, la salutiamo cordialmente.

Ed ecco la risposta del procuratore della Repubblica, Giuseppe Amato

Riscontro volentieri e doverosamente la vostra nota del 13 aprile 2023, traendo anche spunto da un articolo pubblicato su Cantiere Bologna dal direttore Giampiero Moscato, il cui titolo è suggestivo: «Caro Procuratore, un delitto è una notizia che va data».

L’occasione è la vicenda dell’arresto di un medico che si assume responsabile dell’uccisione della moglie.

L’Ufficio, ritengo, si è mosso, a livello informativo, nel rispetto della normativa sulla presunzione di innocenza che, piaccia o no, è legge dello Stato. Non è quindi esatto che la “notizia” non sia stata resa nota, essendo stata autorizzata, subito, la polizia giudiziaria a fornire la circostanza dell’intervenuto arresto.

Certo non si può condividere la considerazione dell’amico Moscato quando letteralmente stigmatizza il fatto che «non è possibile sapere solo un anno e mezzo dopo che una donna è stata assassinata a Bologna…». Si dimentica in tal modo che ci sono le inderogabili esigenze delle indagini, che, per essere fruttuose, devono essere compiute nel riserbo, proprio per ottenere risultati, e non sulle pagine dei giornali. Si dimentica che l’interesse inderogabile che va sempre tutelato è solo quello della efficienza delle investigazioni. La cronaca viene dopo, a tacer d’altro, perché l’intempestività di una notizia può pregiudicare lo stesso esito del riscontro giudiziario.

È questa la ragione per la quale l’informazione dell’arresto non è stata accompagnata – come pure è astrattamente consentito – dalla pubblicizzazione dell’ordinanza cautelare. Perché c’erano altri profili da approfondire e soprattutto ragioni di rispetto della riservatezza di persone terze. E pur tuttavia, l’ordinanza in altro modo comunque acquisita dalla stampa, è stata pubblicizzata su tutti i giornali. A mio avviso, con pregiudizio delle ragioni suddette.

Mi chiedo se la pubblicizzazione anche di questi passaggi abbia soddisfatto realmente la cronaca, ovvero non abbia finito con il ledere soprattutto la posizione di questi terzi, estranei alla vicenda. È un tema che rimetto alla deontologia del giornalista. Ciò premesso, anche la piana lettura dei giornali – o la visione dei servizi televisivi – riguardanti le vicende bolognesi in questi anni di vigenza della legge sulla presunzione di innocenza, non credo possa consentire di dire che vi è stata una qualche censura all’informazione.

Quello che ritengo sempre da salvaguardare – e coniugare con la cronaca – sono peraltro – voglio ribadirlo – le esigenze delle indagini e il rispetto delle persone: indagato, vittima, terzi.

Quindi, non ritengo, impregiudicata ovviamente la piena libertà del giornalista di cercare legittimamente le notizie che vuole pubblicizzare, che debba intendersi coessenziale all’informazione un modus agendi degli uffici giudizìarì o degli organi di polizia che si risolva in un processo minuto per minuto riportato sui mezzi di informazione. Perché la sede del processo è un’altra e perché il riserbo è – questo sì – coessenziale alle indagini.

In definitiva, non si può dubitare che l’informazione giudiziaria – corretta e pertinente – sia assolutamente doverosa e coessenziale all’esercizio del diritto di cronaca. Non vi è [solo] un diritto di informare, ma anche e soprattutto un dovere di informare, vuoi, appunto, per consentire la cronaca e con essa il controllo dell’opinione pubblica [la pubblicità è in fondo una garanzia contro gli abusi e uno strumento per esercitare il controllo sull’esercizio della giustizia], vuoi perché l’informazione è uno strumento con cui l’ufficio giudiziario può o, meglio, deve “rendere conto” del proprio agire.

È principio pacifico, quindi, quello secondo cui l’informazione è un vero e proprio dovere: inteso, beninteso, come dovere di dare conto di quello che si fa, garantendo una informazione corretta e paritaria, senza canali privilegiati, evitando il rischio di informazioni parziali, inesatte, contraddittorie. E però l’informazione deve essa stessa rispettare le ragioni del processo e la riservatezza degli snodi delle indagini che non si siano risolti in provvedimenti ostensibili. E però, soprattutto, l’informazione non può ledere gli interessi al riserbo specie se nell’indagine siano coinvolti terzi estranei.

Mi chiedo se in questa vicenda, a seguito della pubblicizzazione non consentita dall’Ufficio dell’ordinanza, siano state garantite tali condizioni.

Sono certamente molto contento di un incontro, quando le riterrete, e, ovviamente, sono disposto a qualsiasi confronto pubblico, come è del resto mio costume. Cordiali saluti.

Photo credits: DiRe.it


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